In attesa della prossima riapertura del lunapark cittadino, che sarà tutto nuovo, moderno, bello e politicamente corretto, vogliamo rendere un ultimo omaggio al vecchio Luneur com’era, e cioè: pacchiano, decadente, grottesco e... maledettamente divertente.
Tra gli appassionati e gli esperti di parchi a tema, il nome “Luneur” genera abitualmente reazioni di sdegno oppure di sufficienza. Ma solo chi è stato bambino a Roma tra gli anni ’80 e ’90 può capire perchè il vecchio luna park sia ancora oggi così vivo nella memoria e così rimpianto.
Tanto per cominciare, chi è cresciuto tra gli ordinati vialetti di Gardaland (o addirittura tra le scenografie color pastello di Disneyland) ricorda soprattutto la magia. Gli ex-bambini del Luneur, invece, ricordano la dannata strizza che mettevano le attrazioni (spesso anche quelle che in teoria si supponevano family) e l’irresistibile fascino di un posto thrill e nello stesso tempo accessibile ai bambini. Turbava eppure attirava irresistibilmente.
Non è chiaro quanto quel “non so che” di sinistro che impregnava ogni decorazione, giostra o scenografia fosse voluto e quanto fosse frutto di un tentativo di tematizzazione mal riuscito. Fatto sta che se Gardaland era ben rappresentata dalla sua mascotte Prezzemolo e Disneyland era Mickey Mouse, il Luneur poteva essere tranquillamente il Clown malefico di “IT” : qualcosa di solo apparentemente innocuo.
Non tutti i bambini di Roma sono diventati uomini grazie al rito di iniziazione del Luneur, ma molti sì. Era un parco pieno di sfide personali: salire su montagne russe arrugginite e traballanti; verificare la tenuta del proprio stomaco su flat ride che non conoscevano il confine tra divertimento e nausea; entrare in case del terrore che… tanto, anche se non ci entravi, te le sognavi comunque di notte per colpa delle raccapriccianti scenografie esterne o delle tracce audio che spaventavano a metri di distanza. Anche le Fun House, teoricamente adatte a tutte le età, nascondevano insidie: manichini scrostati con capelli impolverati, stanze troppo buie e voci sinistre erano sempre in agguato.
Luogo di ritrovo non solo delle famiglie ma anche di studenti che marinavano la scuola, di militari in libera uscita, di zingari in cerca di svago e di vari rappresentanti della più coatta romanità, il Luneur era questo: un ineguagliabile baraccone fatto di lucine scoordinate, di musica da discoteca a palla, di effetti di fumo che puzzavano come borotalco marcio, di altoparlanti distorti che richiamavano visitatori sulle attrazioni, di aromi di bombe (stra)fritte (le migliori della Capitale!) e di occasionali souvenir gastrici lasciati, negli angoli e tra le aiuole, dai guest più fragili.
Parco divertimenti? Macchè, era la Los Angeles di Blade Runner. Faceva sentire grandi e temerari. Come non amarlo?
Il Luneur era anche l’unico parco al mondo in cui non esistevano limiti di età per le attrazioni. O meglio: esistevano in teoria, ma non in pratica. Quando un genitore chiedeva al giostraio: “il bambino ci può salire qui?”, quello annuiva sempre, pure se il bambino andava all’asilo ed era alto quanto un puffo e pure se il “qui” erano le montagne russe, una ride frullastomaco o una casa dell’orrore. “Al massimo, se il bambino c’ha problemi mi fate un cenno e fermo tutto”. Questo lo dissero proprio a mio padre quando, a 7 anni, mi ero intestardita a salire sul micidiale Galeone Pirata. Cinque secondi dopo la partenza, volevo scendere. “Papà, fagli un cenno al giostraio!” Hai voglia a fare cenni, mica lo fermavano davvero! Ma anche questo era il bello del Luneur. Ti svezzava, spingendoti oltre i tuoi limiti.
Povero di rollercoaster “seri”, il luna park era invece molto competitivo a livello di Flat Ride (i cosiddetti frullastomaco), di Dark Ride e di Walk Through (volgarmente chiamate “le case”).
Di queste “case” ce n’erano davvero tante e, per i tempi, erano anche abbastanza innovative e tematizzate. Lo sforzo c’era e si vedeva. I bambini erano tutti affascinati e incuriositi, vedendole da fuori. Morivano dalla voglia di entrare e scoprire cosa nascondessero, ma non tutti avevano il fegato di provarle veramente.
A ben guardare si trattava spesso di percorsi ripetitivi (Fun House con pavimenti semoventi oppure tour più o meno macabri a bordo di vagoncini) e lo sforzo di tematizzazione si esauriva quasi tutto nella facciata esterna. Per l’interno, bastavano il buio e un paio di manichini malconci piazzati in posizione strategica. Ma il fascino dell’ignoto i bambini di Roma lo hanno conosciuto proprio così.
Grazie all’aiuto degli utenti di TheParks, abbiamo cercato di ricostruire una mappa delle attrazioni storiche più amate del Luneur, quelle presenti nel periodo d’oro del parco, cioè gli anni ’80 e ’90.
Ecco, dunque, la nostra breve guida-amarcord:
LUNEUR – LE ATTRAZIONI STORICHE
Nessie (aka Il Mostro di Lochness)
Uno dei simboli del parco, lì presente da tempo immemorabile. Si trattava di family ride a bordo di un treno a forma di mostro di Lochness. Compiva un tour del laghetto passando all’interno di una “torre diroccata” (dentro alla quale, però, non erano presenti effetti scenografici)
photo credits: Stefan A. Michelfeit – Rides OnLine
Treno delle Miniere
Probabilmente la dark ride meglio tematizzata nella storia del parco. A bordo di un vagoncino si viaggiava all’interno di una piccola “miniera” nella quale si incontravano animatronic di minatori, nanetti di Biancaneve, occhi rossi di pipistrelli ed altre figure più o meno “Disneyane”.
Una voce ricorrente (mai confermata da prove certe) riporta che il Treno delle Miniere e la sua bella scenografia provenissero direttamente da Disneyland. Questo vecchio cartello sembrerebbe avvalorare la tesi.
photo credits: Kenneth Colpaert – Thrilltime.net
photo credits: Stefan A. Michelfeit – Rides OnLine
Space Container (aka Alien)
Horror house a tema spaziale (“Alien”, appunto) da percorrere a piedi. L’idea era decisamente innovativa. Dal di fuori, si presentava come un indecifrabile container scuro, dal quale proveniva un pianto di neonati alternato a rumori sintetici, tipo ufo.
Un po’ meno brillante la realizzazione interna del percorso: senza attori in carne ed ossa, si risolveva in un contorto tour tra scenografie di mostri alieni e larve.
Rotor (aka Gravitor)
Il frullastomaco per eccellenza. Il Rotor consisteva in una centrifuga che, girando sempre più velocemente, schiacciava i guest alla parete. Quando il pavimento si abbassava, questi non cadevano ma rimanevano incollati come figurine alla centrifuga finchè questa non rallentava, lasciandoli scivolare progressivamente fino al pavimento.
photo credits: Stefan A. Michelfeit – Rides OnLine
Horror House
Caratterizzata da vagoncini sagomati a forma di fantasma e da una facciata esterna molto curata, da tipica casa infestata, fu una delle più recenti aggiunte del Luneur in tema di case dell’orrore. I vagoncini si muovevano su binario, su doppio piano, e attraversavano le classiche stanze, con allestimenti di animatroni, che rappresentavano omicidi efferati ed altre scene di macelleria. L’audio era fatto di grida disperate e risate malvagie.
Sulla facciata esterna campeggiava un “boia” gigante che faceva penzolare pezzi di carcasse delle sue vittime.
Era decisamente “traumatico” per un bambino impressionabile anche solo passarci davanti.
photo credits: Kenneth Colpaert – Thrilltime.net
Legend
Piuttosto innovativa per l’epoca (primi anni ’90), "Legend" era una dark ride/ horror house con forti connotazioni fantasy, a bordo di vagoncini. Molto ben tematizzata all’esterno (rappresentava un castello medievale) un po’ più spoglia all’interno.
I carrellini che ospitavano i guest erano chiusi come delle gabbie da tortura (il brivido aggiuntivo era dato dal sospetto che, in caso d’incendio, non si sarebbe usciti vivi da quelle gabbie!) Il percorso si sviluppava su 3 piani, affrontando, nel tragitto, qualche piccola discesa. In alcuni punti, le “gabbie” uscivano allo scoperto ruotando verso l’esterno della costruzione.
All’interno c’erano stanze con animatronic e allestimenti horror-fantasy (troll, vampiri, regine cattive…) nella stanza finale, si incontravano 2 “streghe” che ruotavano a bordo di una specie di altalena.
photo credits: Kenneth Colpaert – Thrilltime.net
photo credits: Bruno Pontecorvo
Le Notti Orientali
Fun House da percorrere a piedi, affrontando pavimenti mobili (rotanti, semoventi…) ed altre forme di disorientamento. L’edificio era dominato da un enorme mago dai tratti orientali (che veniva spesso identificato con “Mago Merlino” anche se chiaramente non lo rappresentava) che apriva e chiudeva le braccia attorno ad una sfera di cristallo all’interno della quale era racchiusa una ragazza/odalisca (un animatrone, ovviamente).
La facciata era decorata da teche di vetro contenenti manichini (i prigionieri del mago?) Per entrare si saliva su di un tapis-roulant che conduceva dentro l'attrazione. C’era anche un audio esterno: un dialogo tra il mago e la ragazza che aveva lo scopo di incuriosire i passanti e spingerli ad entrare.
Il Mago de Le Notti Orientali, in un fotogramma del film di Alberto Lattuada "La Cicala" (1980).
Una delle torrette del palazzo de Le Notti Orientali, sopra la quale si inseguivano senza sosta tre animatronic in abiti arabeggianti - photo credits: Stefano Macutan via Youtube
Magic House (aka La Casa con il Gufo e il Ragno)
Anche questa una Fun House da percorrere a piedi. Non propriamente horror ma neppure del tutto innocua.
Il guest affrontava un iniziale corridoio con pavimento mobile, al buio, poi, proseguendo, faceva scattare una fotocellula che illuminava una teca laterale contenente un allestimento ispirato al film “Nightmare” ed un animatrone rappresentante Freddy Kruger. Si proseguiva con una stanza dal pavimento pendente dove bisognava affrontare un percorso vagamente labirintico tra sbarre di ferro e luci stroboscopiche. Seguiva un corridoio buio decorato con scritte fluorescenti. Infine, per uscire, si doveva farsi strada tra grossi e pesanti sacchi appesi.
photo credits: Kenneth Colpaert – Thrilltime.net
Pasaje del Terror
Horror house da percorrere a piedi a tema horror, rappresentò un’incredibile innovazione per il Luneur e divenne in poco tempo l’attrazione di punta del parco. Installata nei primi anni ’90, portò per la prima volta in Italia un walk through animato da attori in carne ed ossa.
Aperta solo nei giorni e negli orari di alta affluenza, Pasaje del Terror rappresentava una casa demoniaca su 2 (poi 3) piani, popolata da personaggi sinistri.
Era un'attrazione insolita che dava i brividi solo a guardarla da fuori.
Un'intera parete della casa spettrale era occupata dal titolo e dall'immagine di un monaco vestito di nero con la faccia completamente bianca e un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca.
Una scala mobile portava all’entrata dell'attrazione. Un attore vestito da maggiordomo separava le persone per l'ingresso.
Si veniva poi accolti da un “monaco” incappucciato (probabilmente un omaggio al personaggio de La Morte de "Il settimo sigillo" di Ingmar Bergman) il quale “malediceva” i visitatori per essersi spinti in quella casa e poi li invitava a salire una scalinata e a bussare tre volte alla porta. Dopo un breve preshow, si procedeva in fila, per piccoli gruppi, con mostri/attori che sbucavano da tutte le parti e interagivano con il pubblico parlando e rispondendo alle risate o alla provocazioni.
C’erano: la stanza dell’esorcista, Freddy kruger che usciva da una parete a scomparsa (grazie ad un vetro semi-specchiato ed un faretto stroboscopico, sembrava davvero apparire dal nulla!); c'era un uomo sfigurato, in gabbia, che rompeva le sbarre e inseguiva i guest; c'era un corridoio con delle "finte" pareti dalle quali sbucavano braccia che cercavano di afferrare i malcapitati passanti… L'ultima stanza era ambientata in un macello, con il pavimento morbido, rivestito di gommapiuma. Pare che, a seguito del malore di una visitatrice (“a causa del senso di precipitare nel vuoto") il pavimento venne poi modificato.
Il “regalo d’addio” della casa era Jason con la motosega (un macchinario che emetteva non solo il suono tipico della motosega anche un getto d'aria che la rendeva ancora più realistica, complice il buio).
photo credits: Massimiliano D’Affronto via flickr
Memorabilia: il biglietto d'ingresso al Pasaje del Terror - photo credits: Achille Baricco
(Le Cascate del) Niagara
Walk through a tema "avventuroso", con sorpresa.
Si entrava a piccoli gruppi e prima si attraversava un ponticello sospeso, vagamente instabile, tra rocce e cascatelle d'acqua. Poi si entrava in una stanza dove i cast member facevano accomodare su un divanetto arancione da 4 posti in linea.
photo credits: Achille Baricco
Dopo un breve preshow, il cast member chiedeva ai guest di alzare le mani e ad un tratto il sedile si apriva lasciandoli cadere nel vuoto. Si atterrava su di un telone inclinato che, facendo scivolare, conduceva in un'altra stanza dove si iniziava il walk through vero e proprio in una grotta (tra nani, troll e altre creature sotterranee).
Toboggan
Rollercoaster della quasi-scomparsa tipologia Toboggan, parzialmente tematizzato in stile E.T.
I vagoncini salivano lungo un binario verticale all’interno di un “razzo spaziale”, dopodichè, arrivati in cima, cominciavano a scendere compiendo una serie di eliche circolari all’esterno del razzo stesso. Il breve percorso terminava con una cunetta che rallentava il vagoncino.
Un esemplare di Toboggan coaster, simile a quello del Luneur - photo credits: coasterimage
Rotoshake (aka batmobile)
Flat ride Zamperla installata negli anni ’90. Indubbiamente uno del frullastomaco storici ed irrinunciabili del Luneur. Rappresentava una sorta di enorme batmobile viola che solcava i cieli di Gotham City.
Si trattava di una gondola con 3 file da 14 posti sorretto da un unico braccio oscillante che compiva dei giri completi, come la lancetta di un'orologio. In più la gondola ruotava su se stessa a 360° (Spesso fermandosi con i passeggeri a testa in giù per diversi secondi).
La rete di protezione intrappolava quotidianamente accendini, chiavi ed altri oggetti che scivolavano dalle tasche dei guest.
Wild Water Trophy (aka la Zattera)
Flat ride (molto simile al modello "Supernova" della Mundial rides) posizionata a sinistra del "Treno delle miniere”.
Il movimento della gondola era oscillatorio ma senza giro a 360° della gondola su se stessa. Le file dei passeggeri erano disposte lungo il lato corto della gondola (così i passeggeri dondolavano "da destra a sinistra", non da "da avanti a indietro"). Entrambi i bracci erano snodati cosicché la gondola si poteva inclinare mentre oscillava, simulando il movimento di una zattera in mezzo alla tempesta.
Galeone pirata (aka Nave pirata)
Attrazione presente fin dai primi anni ’80. Era una classica gondola decisamente thrill, benchè la “nave” non compisse un giro completo di 360°. In tutti i posti (in particolare, ovviamente, le estremità di prua e poppa) si avvertiva un intenso airtime.
A cavalcioni della prua, sedeva un inquietante manichino/pirata con capelli lunghi e grigi che ondeggiavano quando il galeone iniziava a dondolare.
La Nave Pirata del Luneur, visibile nel film "Innamorato Pazzo" (1981), con Adriano Celentano e Ornella Muti
Mulino delle Nazioni
Costruzione presente nei primi anni ’80 (e scomparsa all’inizio dei ’90) raffigurante un grosso Mulino. Si trattava di un piccolo teatro destinato a rappresentazioni ed esposizioni temporanee.
Himalaya
Leggendarie, apparentemente pericolanti, con i vagoncini singoli (non c’era il treno unico ma “macchinette” da 4 passeggeri) che trasmettevano davvero poca fiducia e le protezioni che sembravano non chiudersi affatto. Tre diversi vagoncini occupavano contemporaneamente il tracciato inseguendosi sui binari e "incontrandosi" a poca distanza nelle curve e nelle discese.
Presente nel parco fin dal 1968, Himalaya era e resterà sempre IL rollercoaster del Luneur: un modello Zyklon Z78 dalla Pinfari con 3 drop, una serie di eliche di raccordo e alcuni bunny hop ("saltini") finali. Il modello Z78 doveva sembrare, all'epoca dell'inaugurazione, un vero colosso, nonostante i miseri 19 metri di altezza. La Pinfari costruì il prototipo di questo Zyklon extralarge proprio per il Luneur e solo alcuni anni più tardi concesse una replica costruendo un secondo Z78, identico ad Himalaya, per Dorney Park, in Pennsylvania.
La prima discesa di Himalaya era inaspettatamente intensa e divertente: la vetturina sulla quale si viaggiava, compattissima, precipitava giù a rotta di collo. C'era un punto preciso del percorso (tra la drop e il tratto in salita che immetteva sulla prima elica) in cui si avvertiva chiaramente la sensazione di vuoto. Un risultato che coaster ben più moderni e recenti non sempre sono riusciti a garantire.
"Himalaya", photo credits: Bruno Pontecorvo
"Himalaya", photo credits: Achille Baricco
soggettiva della prima discesa del rollercoaster gemello di "Himalaya": un modello Z78 perfettamente identico, presso Dorney Park. Photo credits: rcdb
Loveboat
Dall’esterno una nave da crociera (ben fatta) arenata in un laghetto, all’interno nascondeva una fun house con i consueti pavimenti semoventi, stanze rotanti ed effetti disorientanti.
La stanza finale era un labirinto degli specchi con teche di vetro dentro alle quali si trovavano dei manichini di bambini (involontariamente?) raccapriccianti.
Per superare lo specchio d’acqua dentro al quale era alloggiata la Loveboat, si utilizzava un tipico ponticello da barca (all’ingresso) ed uno scivolo (all’uscita).
Crazy Dance
Flat ride di tipologia “Break Dance”, con navicelle rotanti sia su se stesse che intorno ad un perno. Molto provante dal punto di vista della resistenza gastrica ma molto divertente e coinvolgente grazie alla musica dance ad altissimo volume e agli effetti luminosi e di fumo che volevano simulare la più scatenata delle piste da ballo.
Le Gabbie
Risalenti agli anni ’80. Definibili più una "giostra" che un'attrazione.
Il principio meccanico era lo stesso dei dondoli tipici dei parchi giochi, solo che qui, alle due estremità del perno, si trovavano due gabbie all’interno delle quali prendevano posto i guest. Spostando il peso del corpo a destra e a sinistra, le gabbie iniziavano a dondolare e, se i passeggeri erano abbastanza forti ed abili, potevano anche far compiere alle stesse dei giri completi di 360°.
Labirinto di Cristallo (aka labirinto degli specchi)
Dopo un iniziale corridoio con specchi deformanti, si iniziava il labirinto vero e proprio, fatto di specchi riflettenti e pareti trasparenti. La particolarità era che dall’esterno si potevano vedere i guest che tentavano il loro percorso verso l’uscita. Alcuni vetri erano incrinati, probabilmente a causa degli urti di visitatori troppo affrettati. Al di fuori campeggiava infatti un cartello con su scritto a chiare lettere: “Vietato correre”
Casa Matta (aka casa che gira)
Costruzione (scomparsa alla metà degli anni ’80) raffigurante una casa stilizzata (simile alle casette disegnate dai bambini) che, dall’esterno girava tutta, completamente, ritrovandosi con il tetto al posto del pavimento. Conteneva una sorta di Mad House ante litteram.
Sulla natura di questa misteriosa attrazione, le fonti sono parzialmente discordanti.
Secondo i ricordi di alcuni, l'interno della casa era del tutto immobile: ci si sedeva e semplicemente si osservava, attraverso le finestre, delle immagini in movimento proiettate come diapositive che davano la sensazione che la casa stesse "viaggiando".
Secondo altre testimonianze, invece, il pavimento (e con esso le sedute dove prendevano posto i visitatori) iniziavano ad ondeggiare avanti e indietro, come una vera, moderna, Mad House.
Quando la Casa Matta venne inaugurata, sulla facciata esterna si apriva un finestrone che rivelava la presenza di un enorme pupazzo dalle fattezze umane, vestito in pigiama e con tanto di berretto da notte in testa, comodamente seduto sul water coi pantaloni abbassati. Successivamente la finestra venne tenuta chiusa e il "proprietario della casa matta" non poté più essere sbirciato.
La Piovra (aka il Polpo)
Tappa intermedia tra le giostrine per bambini e tutte le attrazioni "da grandi" era "la Piovra". Affermatasi negli anni '80, questa attrazione raffigurante un Abominevole Octopus fece perdere le proprie tracce verso la fine degli anni '90.
Di cosa si trattava? Era una flat ride modello "Polyp" della Soriani & Moser : un enorme polpo meccanico dai lunghi tentacoli, ognuno dei quali sorreggeva un grappolo di 4 navicelle (da 2 posti ciascuna) sagomate come piccoli mostri marini.
La Piovra girava e ondeggiava su e giù, e, a loro volta, giravano autonomamente anche i gruppi di navicelle.
Il tutto determinava l'illusione di essere preda del mostro, sbalzati dai suoi micidiali tentacoli.
Facile capire perchè La Piovra, pur pensata per un pubblico molto giovane, non fosse affatto un'attrazione rassicurante. Molti ricordano ancora con sgomento gli enormi occhi del mollusco e il suo sguardo... corrucciato.
La Piovra del Luneur nel 1983 - photo credits: Silvia Albanese via facebook
Tagadà
Arcinota attrazione meccanica da lunapark. Dopo aver debuttato al Luneur negli anni '80, vi rimase fino alla chiusura (2008). Consisteva in un grande disco che girava e veniva fatto sobbalzare da pistoni ad aria compressa. Il movimento del Tagadà era accompagnato dai brani dance del momento, diffusi a tutto volume. I passeggeri prendevano posto nelle sedute che coprivano tutto il perimetro interno del disco. Non essendo previste protezioni di sorta per assicurare i passeggeri alla seduta, si finiva con lo scivolare gli uni addosso agli altri. I più ardimentosi restavano in piedi al centro del Tagadà, tentando di mantenere l'equilibrio senza cadere o perfino di ballare. I lividi (e il divertimento) erano assicurati!
Enterprise
Anch'essa flat ride "thrill", celebre negli anni '80. Era formata da una grande struttura circolare, dal cui perimetro pendevano gondole biposto (un passeggero sedeva davanti e uno dietro) protette da gabbie.
Alla partenza la grande "ruota" circolare era in posizione orizzontale ed iniziava a girare sempre più veloce. Quando la forza centrifuga portava le gondole a viaggiare parallele al terreno, la struttura centrale iniziava ad inclinarsi fino a raggiungere una posizione verticale, facendo compiere ai passeggeri diversi "giri della morte".
Un esemplare di flat ride "Enterprise" molto simile a quella presente al Luneur
Via col Vento (aka Matterhorn)
Flat ride costituita da navicelle (da 2 posti affiancati) appese a bracci d'acciaio posizionati a raggiera. L’estremità interna dei bracci era fissata ad un centro rotante a velocità variabile (oraria ed antioraria).
La rotazione della raggiera non era perfettamente parallela al terreno, ma seguiva un tracciato ondulato, in modo che, girando, alle navicelle venisse impresso un rapido movimento sali-e-scendi.
L'attrazione si chiamò "Via col Vento" fino al 1993, anno in cui divenne tristemente nota perchè un ragazzo romano vi perse la vita, schizzando fuori dalla giostra in movimento e schiantandosi violentemente a terra.
Secondo le testimonianze dell'epoca, il ragazzo tenne un comportamento "spericolato" tentando di alzarsi in piedi sulla navicella ma fu l'improvviso ed imprevedibile cedimento della barra di protezione a determinare la tragedia.
Dopo l'incidente, "Via col Vento" prese il nome di "Matterhorn" (che coincide con il nome tecnico di questo tipo di attrazione) e dopo poco venne rimosso dal Luneur.
il Matterhorn del Luneur, visibile nel film "Innamorato Pazzo" (1981), con Adriano Celentano e Ornella Muti
La Riviera Misteriosa
Una sorta di "tunnel dell'amore", molto in voga negli anni '70 e dismesso alla fine degli anni '80.
L'attrazione era posizionata vicino al Tagadà e si espandeva nell'area in cui, molti anni dopo, sarebbe stato installato Looping Star.
I passeggeri viaggiavano, a bordo di barchette da 4 posti, lungo un fiumiciattolo artificiale.
Lo scopo della ride era osservare le scenografie ed evenutalmente... scambiarsi qualche bacio, perciò il tragitto era percorso molto lentamente.
Per prima cosa si entrava in un tunnel "stellato", accompagnati, in sottofondo, da un brano musicale di Ennio Morricone. Il tunnel terminava in uno scenario western, con carovane e assalto di pellirossa (manichini e qualche rudimentale animatrone). Si giungeva, poi, tra i "ghiacci polari", tra igloo ed eschimesi e, dopo aver superato una cascata d'acqua, si affrontava un enorme "granchio" che muoveva le chele. Le musiche cambiavano a seconda delle ambientazioni e il tour si concludeva con un nuovo tratto di tunnel "stellato", perfetto per permettere alle giovani coppiette di scambiare le ultime effusioni prima di tornare all'aperto.
La Bocca del Drago (aka: Il Treno Fantasma).
A memoria, si potrebbe dire che fu la prima horror house del Luneur. Negli anni '70 e nei primi '80 era una delle attrazioni di punta del parco.
L'ambientazione, vista dall'esterno, era sostanzialmente esotica, con vegetazione rigogliosa (in parte finta e in parte vera), lucertoloni preistorici (o forse Godzilla e Godzuki?) e, al centro, un grande drago appiattito sul terreno, con una enorme bocca aperta, pronta ad inghiottire i vagoncini biposto a bordo dei quali si entrava nel "tunnel dell'orrore" vero e proprio.
Entrando nel corpo del lucertolone, si veniva accolti da un lungo fischio di un vecchio treno "in arrivo": l'impatto con il veicolo invisibile sembrava prossimo (da qui, probabilmente, il nome originario dell'attrazione: treno fantasma).
Proseguendo, i visitatori erano minacciati da delle "mani" sospese, sporche di sangue, che, dall'alto, sembravano volerli afferrare e venivano infastiditi da "ragnatele" appese al soffitto che arrivavano a sfiorare i volti.
A seguire: bare che si aprivano, sagome di belle donne nude che, ruotando il busto, mostravano l'altra metà del proprio corpo ridotto a una carcassa decomposta; streghe malefiche su manici di scopa; una folle "equipe medica" intenta a sbudellare un corpo ormai straziato (pezzi di "interiora" fioccavano come stelle filanti). E ancora: scope che ondeggiavano, porte che si spalancavano rumorosamente e, infine, un cimitero infestato da zombie e creature sinistre.
Usciti a rivedere la luce, c'era ancora un grosso "gorilla" che, al passare della vettura, urlava e si batteva il petto con i pugni (scena finale di discreto effetto!).
Negli ultimi anni di permanenza, l'attrazione era divenuta molto fatiscente e riusciva proprio per questo, secondo alcuni, a regalare un brivido sinistro in più.
La Bocca del Drago venne sostituito da "Legend", che fu edificato al suo posto nei primi anni '90.
Le mani meccaniche de La Bocca del Drago, in un fotogramma del film di Alberto Lattuada "La Cicala" (1980).
photo credits: Achille Baricco
La Taverna dei Sette Peccati
Una delle prime fun house del Luneur, si trovava dove fu poi costruita la Magic House (che presumibilmente ereditò alcune delle componenti della vecchia "Taverna"). Si presentava come uno stand da fiera o un baraccone circense.
All'apparenza rappresentava qualcosa di simile ad un saloon di un villaggio del west: un grande portico con colonne e un piano con finestre, parzialmente aperte, che non lasciavano immaginare niente di buono. All'interno: tappeti mobili, manichini appesi come morti (che, una volta chiusa l'attrazione, si dice siano passati al "tre palle un soldo"), poi corridoi bui, soffi d'aria improvvisi, pareti e soffitti che in trasformazione lungo il percorso.
L'uscita si trovava dallo stesso lato dell'entrata, cosicchè, chi si accingeva ad entrare, poteva vedere le facce impaurite o divertite di chi usciva.
Can Can
Frullastomaco di classica tipologia ballerina: un disco che girava su se stesso e si inclinava fino a 45°. I passeggeri erano disposti alle estremità di questa struttura rotante. Intorno era tutto uno sfavillio di luci a tema parigino: la torre Eiffel, il Moulin Rouge e perfino una sfilza di ballerine di Can Can che si dimenavano dentro una vetrina a semicerchio.
Super Loops
Si tratta di un'attrazione di cui pochi hanno memoria, forse perchè molto risalente (anni '70 / primi '80), forse perchè si trovava nella parte "alta" e meno frequentata del parco, (vicino al Mulino delle Nazioni).
Super Loops era sostanzialmente una flat ride di tipologia Ring of Fire: un binario circolare, posto in verticale, all'interno del quale correva un treno da 20 posti, 10 rivolti da un lato e 10 da quello opposto.
La sommità del treno veniva chiusa da una gabbia. Alla partenza, il treno cominciava ad oscillare in avanti e indietro, fino a compiere dei giri di 360°. Durante i giri, i passeggeri venivano anche lasciati a testa in giù per alcuni secondi.
un "Super Loops" (tipica flat itinerante) con treno all'apice del binario circolare.
photo credits: Jared Nunemacher via Flickr
Le piste di Kart, le macchine elettriche e le auto d'epoca
Una classica pista di Go Kart su asfalto si trovava ai piedi di Himalaya. Un'altra pista di automobili elettriche era posta vicino a La Piovra: quest'ultima aveva il pavimento in legno ed un percorso di dossi e cunette. Le macchine prendevano l'energia elettrica da terra (le doghe di legno del pavimento si alternavano a piastre di ferro dove passavano i circuiti) era rumorisissima e divertente.
Molto amata era la riproduzione di vetture dell'800 che viaggiavano su monorotaia e si avventuravano tra la vegetazione, tunnel e cascate d'acqua. I bambini (a cui era prevalentemente dedicata l'attrazione) avevano l'impressione di stare davvero guidando. Si poteva persino suonare il clacson!
Si ringraziano gli utenti di TheParks: Toxic83, rotoshake, lelerossi, Sbirulino, alfb, Dexter_RM, lore1991, Nicklimbergh, Roberta Pesciarelli, Irene Danovaro, leopardovich, Roberta Von Leben, Paolo De Gioia, PennyB, Nimaxx e jack sparrow 1974 per il loro prezioso contributo.
Nota: non abbiamo citato alcuni evergreen come: la ruota panoramica, l'autoscontro, il brucomela, il cinema 3D o la giostra degli elefantini poichè si tratta di attrazioni arcinote, presenti in molti altri lunapark. La ruota è ancora lì e tutti i romani possono vederla. Confidiamo di ritrovarla anche quando il progetto del nuovo Luneur vedrà finalmente la luce.
Se riscontraste degli errori o delle omissioni o ricordaste qualcosa in più, lasciate la vostra segnalazione nei Commenti o scriveteci qui
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